La cupola di San Pietro

“Roma è la città degli echi, la città delle illusioni, e la città del desiderio”, disse Giotto, e, in effetti, la Città Eterna ci sorprende con angoli e scorci affascinanti e fuori dall’ordinario.

Non distante dalla splendida Villa Doria Pamphilj, scopriamo via Niccolò Piccolomini, un’incantevole stradina residenziale, lunga circa 300 metri, che regala all’osservatore un’esperienza da non perdere e un suggestivo effetto visivo.

Dal qui, potete ammirare la cupola della Basilica di San Pietro, straordinario progetto di Michelangelo, in un magico gioco di prospettive: percorrete la via, ed ecco che, avvicinandovi, il “Cupolone” sembrerà allontanarsi; al contrario, indietreggiando, la cupola apparirà più grande e vicina.

Si tratta di una curiosa illusione ottica, dovuta alla disposizione degli edifici e al punto di osservazione, che rende via Piccolomini un luogo speciale per una serata romantica e uno dei tanti “magnifici inganni” della città.

La Dolce Vita

Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, l’Italia vive il suo miracolo, il boom economico è al suo apice. La radio e la televisione entrano nelle case degli italiani, mentre automobili, Vespe e Lambrette ne modificano ritmi e abitudini. La Fiat 500, la Fiat 600 e la Giulietta diventano status symbol di un’epoca.

Lusso e glamour sono il tratto distintivo di quest’epoca d’oro: abiti delle più grandi case di moda, insieme a gioielli dal valore inestimabile, impreziosiscono le mise delle signore del jet set internazionale.

Roma esplode di voglia di vivere, di bellezza e di divertimenti, diventando la “Hollywood sul Tevere”: negli studi di Cinecittà, oltre ai film italiani, si girano i colossal d’oltreoceano, perché i costi sono più vantaggiosi rispetto a quelli americani, mentre la spaziosa Via Vittorio Veneto, con i suoi caffè e gli hotel di lusso, diventa il “salotto” del mondo dove le celebrità si danno appuntamento.

Nasce un nuovo stile di vita: quello dei nuovi ricchi, degli artisti, dei registi, degli attori e, soprattutto, dei fotografi scandalistici, indiscusse icone di quella Roma che, dopo l’uscita del film di Federico Fellini “La Dolce Vita”, saranno chiamati paparazzi, parola entrata nell’immaginario collettivo e oggi usata abitualmente.

Rino Barillari, Tazio Secchiaroli, Marcello Geppetti e i loro colleghi erano veri e propri fotografi d’assalto alla ricerca dello scoop da copertina: sono loro a svelare al pubblico la passione travolgente tra Liz Taylor e Richard Burton, entrambi sposati, o quella turbolenta tra l’attore italiano Walter Chiari e la splendida star statunitense Ava Gardner, o a cercare di catturare uno scatto dei noti playboy dell’epoca, Gigi Rizzi e Pier Luigi Torri, che si accompagnano alle dive più affascinanti e corteggiate.

Significative le foto rubate, che destarono un enorme scandalo ed ebbero persino uno strascico giudiziario, del famoso spogliarello improvvisato dalla ballerina turco-armena Aïché Nana, simbolo di quegli anni e fonte di ispirazione per una celebre scena de La Dolce Vita di Federico Fellini.

Film che ha segnato un’epoca, La Dolce Vita (1960) è il ritratto dolce amaro di quegli anni e un affresco delle varie realtà socio-economiche che convivono nella Capitale. Il protagonista, Marcello, aspirante scrittore, interpretato dal bellissimo Marcello Mastroianni, lavora per un giornale scandalistico e ogni sera staziona di fronte ai locali di Via Veneto in cerca di pettegolezzi o foto rubate a personaggi del bel mondo. L’indimenticabile scena del bagno nella Fontana di Trevi della prosperosa Anita Ekberg, che interpreta Sylvia, diva americana arrivata a Roma per girare un film, è una testimonianza indelebile del sentire la vita in tutta la sua dirompente forza.

Anche il vivace ambiente intellettuale romano non disdegna il côté mondano: feste, mostre, salotti, terrazze e locali del centro storico, come quelli di Piazza del Popolo, sono i luoghi di ritrovo preferiti di artisti, filosofi e scrittori tra cui Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Alberto Arbasino, Goffredo Parise, i Poeti Novissimi che presentavano gli artisti con le loro poesie, gli scrittori di “neoavanguardia” del Gruppo 63 come Nanni Balestrini e Umberto Eco, giornalisti e scrittori come Ennio Flaiano, Vittorio Veltroni e Lello Bersani, mentre nelle vicine gallerie d’arte esponevano artisti come Renato Guttuso, Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli e Giosetta Fioroni.

L’espressione “Dolce Vita” ha poi continuato a evocare uno stile di vita spensierato e dedito ai piaceri mondani ed è entrata nel vocabolario di tutto il mondo.

Lady Gaga, famosa ed eclettica cantautrice italo-americana, ha dedicato ai fotografi del tempo una celebre canzone dal titolo Paparazzi.

Gli Alberghi storici di Roma

L’incanto del passato, la meraviglia del presente

Ricchezza, sfarzo e magnificenza: nella grammatica del lusso contano però anche eleganza e stile, tanto più se uniti al fascino di un passato che non tramonta. Insomma, a essere lussuoso è soprattutto ciò che profuma di sogno o che ci immerge nella magia della storia – quella con la s maiuscola – e nelle sue atmosfere evocative. Nella nostra città eterna capita che anche gli alberghi abbiano trascorsi illustri da raccontare, e non può certo sorprenderci. Dalle prime locande rinascimentali fino agli hotel di impronta parigina di fine Ottocento e inizio Novecento, nelle loro stanze è passata la storia, qui hanno alloggiato scrittori, artisti, scienziati, re, principi e ambasciatori. Per preservare questo patrimonio di storie e dare il giusto valore all’accoglienza di classe, Federalberghi Roma ha riunito una parte delle strutture nate almeno prima del 1950 nel Comitato Alberghi Storici, con oltre 40 alberghi aderenti, di cui circa la metà a quattro o cinque stelle.

Origini antiche e ospiti d’eccezione nel cuore della città

La palma dell’hotel più antico della città spetta all’Albergo del Sole, un tempo Locanda del Montone: un luogo intimo ed esclusivo – con un giardino interno ricco di fiori e palme e una hall con affreschi del Settecento – in una posizione unica, con le spalle al Pantheon. Due lapidi ricordano che qui soggiornarono Ludovico Ariosto nel 1513 e il compositore Pietro Mascagni, che vi festeggiò la prima della Cavalleria Rusticana, ma la sua prima testimonianza storica risale al 1467, quando accolse le truppe dell’imperatore Federico III d’Asburgo. La sua storia è stata tramandata da ospiti d’eccezione, tra cui il mago e alchimista conte di Cagliostro e, in anni più recenti, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Poco distante, nella piazza ornata dal “pulcin della Minerva” di Gian Lorenzo Bernini, un palazzo costruito nel 1620 come dimora dell’aristocratica famiglia portoghese dei Fonseca ospita il primo grand hotel italiano, il Grand Hotel de la Minerve, trasformato in albergo di lusso nel 1835 dalla famiglia francese Sauve, giunta in città al seguito di Napoleone. Le sue suite sono intitolate ad alcuni dei tanti personaggi di rilievo che lo scelsero come propria residenza, e sono nomi da togliere il fiato: Stendhal, Herman Melville, George Sand, Vittorio Alfieri. A esaltare le linee nobili ed eleganti del palazzo contribuisce il raffinato apparato decorativo realizzato per i suoi saloni dallo scultore Rinaldo Rinaldi, primo allievo di Antonio Canova.

L’eleganza del Tridente romano, da piazza del Popolo a via del Corso

Una veste architettonica monumentale, arredi liberty e terrazze panoramiche immerse nel verde: nella zona del Tridente, a via del Corso, il Grand Hotel Plaza nasce come locanda nell’ultimo decennio della Roma pontificia ma diviene rapidamente un punto d’incontro di nobili, artisti, politici e regnanti in visita a Roma. Si dice che i principi Umberto e Margherita di Savoia assistessero dalle sue finestre al carnevale romano ma la lista dei suoi ospiti illustri è lunga: Pietro Mascagni, l’imperatrice del Messico Carlotta, ma anche Luchino Visconti e Federico Fellini. Entrando a Roma da Porta del Popolo, il primo albergo che si incontrava era però l’Hotel de Russie, “un paradiso in terra” per il poeta francese Jean Cocteau, ospite dell’albergo nel 1917 insieme a Pablo Picasso per l’allestimento del primo balletto cubista al mondo. Adibito ad hotel nell’ultimo quarto dell’Ottocento, era frequentato da così tante teste coronate (i Romanov, il principe Girolamo Napoleone, il re Gustavo di Svezia, Ferdinando e Boris di Bulgaria…) da guadagnarsi l’appellativo di “Albergo dei Re”. Opera dell’architetto Giuseppe Valadier è lo splendido giardino segreto, visibile solo dal retro dell’albergo e suddiviso in varie terrazze che salgono verso il Pincio. Dal lato opposto di Piazza del Popolo, in via della Penna, l’Hotel Locarno è un raffinato gioiello liberty, custode di un’epoca con un legame indissolubile con il mondo dall’arte e della cultura. Nato nel 1925 da una famiglia svizzera che gli diede il nome della propria città natale, a partire dagli anni Sessanta divenne infatti il punto di ritrovo di una vivace comunità di artisti, attori e intellettuali, con ospiti memorabili come Jean-Michel Basquiat e Jorge Luis Borges

Il lusso irrinunciabile di una vista mozzafiato

In cima alla Scalinata di Trinità de’ Monti, in una posizione spettacolare nel cuore di Roma, l’Hotel Hassler Villa Medici ricorda nel nome il suo promotore, lo svizzero Albert Hassler che lo fondò nel 1893, ma dagli anni Venti appartiene alla famiglia Wirth. Naturale punto d’incontro dell’élite politica, economica e culturale italiana e straniera, l’albergo è stato frequentato da centinaia di visitatori eccellenti: la famiglia Kennedy, il Principe Ranieri di Monaco e Grace Kelly, Charlie Chaplin e Gabriel Garcia Marquezsono solo alcuni dei nomi che compaiono sul suo Libro d’Oro. Altrettanto invidiabile è il panorama che si gode dalla terrazza dell’hotel Sina Bernini Bristol, scelta da Paolo Sorrentino per il film “La grande bellezza”. Inaugurato nel 1874 con il nome di Hotel Bristol in onore del quarto Conte di Bristol – di cui si raccontavano i tanti viaggi per l’Europa e il lussuoso stile di vita – l’albergo fu ricostruito della fondamenta all’inizio degli anni Quaranta, e al suo nome fu aggiunto quello del Bernini, autore della Fontana del Tritone che domina l’antistante piazza Barberini. Nella sua lunga storia, l’hotel è stato il punto di riferimento di personaggi illustri come l’Imperatore del Brasile, i Principi del Galles, i Rockefeller e i Vanderbildt che avevano l’abitudine di trascorrere i freddi mesi invernali in città.

Dalla Belle Époque alla Dolce Vita lungo via Veneto

Da piazza Barberini a via Veneto, la via della Belle Époque – con alberghi di lusso e caffè in stile parigino – diventata negli anni Cinquanta e Sessanta meta di star e artisti del cinema, e resa infine immortale dal film La Dolce Vita di Federico Fellini. Il primo hotel a essere inaugurato nella via, nel 1889, fu il Majestic, progettato da Gaetano Koch – autore tra gli altri del vicino palazzo dell’ambasciata americana e del palazzo della Banca d’Italia – che diede all’edificio la sua inconfondibile linea “a pianoforte”. La sua modernità, il suo design architettonico, gli arazzi, i mobili preziosi e gli affreschi di Domenico Bruschi nella sala da ballo lo rendono famoso fin dagli anni Venti: re e regine, principi e principesse ma anche star dello spettacolo ne fanno l’indirizzo preferito per il loro soggiorno a Roma. Di pochi anni successivo è il vicino Palace Hotel, progettato in stile neorinascimentale dall’architetto Carlo Busiri Vici. Diventato sede della biblioteca dell’ambasciata americana dopo la seconda guerra mondiale, è stato riaperto negli anni Novanta con il nome di Ambasciatori Palace mantenendo intatta la bellezza degli ambienti e delle decorazioni originali, come la balaustra in ferro battuto della scalinata liberty. Nel 1927 a essere trionfalmente inaugurato su via Veneto fu infine l’Albergo degli Ambasciatori, oggi Grand Hotel Palace. Esempio del modernismo romano, fu progettato dall’architetto Marcello Piacentini e segna il passaggio dallo stile liberty all’art déco. Varcando il suo cancello in ferro battuto e bronzo, ci si immerge in un’atmosfera d’altri tempi, tra stucchi, lampadari di cristallo, pavimenti in marmo e meravigliosi affreschi dipinti dal veneziano Guido Cadorin: tra i personaggi ritratti, i proprietari dell’albergo, Marcello Piacentini con la sua famiglia e un inaspettato Gio Ponti che si affaccia con un sorriso ironico da una colonna.

I Nasoni: le fontanelle di Roma

Quando in città il caldo diventa opprimente, nulla è gradito più di un sorso d’acqua fresca.

A Roma, potete dissetarvi con l’acqua che sgorga dalle fontanelle con la caratteristica forma cilindrica, che i romani chiamano affettuosamente “nasoni”, installate in tante piazze e vie della città.  

Nate nel 1874 da un’idea dell’allora Sindaco Luigi Pianciani e dell’assessore Rinazzi per erogare acqua potabile gratuita nel centro e nelle borgate e per dare sfogo alla rete idrica, le fontanelle erano costruite in ghisa, erano alte circa 120 cm, pesavano circa 100 kg ed erano provviste di tre bocchette a forma di drago. L’acqua terminava la caduta nel condotto fognario, attraverso una grata posta a livello stradale. 

Negli anni seguenti, il disegno delle fontanelle venne modificato: le tre bocchette decorate lasciarono il posto a un unico cannello liscio la cui forma è all’origine dell’appellativo “nasone”. Qualche bocchetta a forma di drago si può ancora trovare in piazza della Rotonda, in via di San Teodoro, alle spalle del Foro Romano, e in via delle Tre Cannelle.

Oltre alle fontanelle in ghisa, in giro per la città potete trovarne alcune costruite in travertino; vengono chiamate “della lupa imperiale”, dato che l’acqua fuoriusciva da una testa di lupa in ottone. Questa tipologia di fontane venne installata negli anni Venti e Trenta; ne rimangono in funzione una settantina, localizzate nei parchi romani e al Villaggio Olimpico. 

La bocchetta di tutte le fontanelle ha un piccolo foro nella parte superiore. Tappando con un dito l’uscita principale della bocchetta, l’acqua zampilla verso l’alto; un piccolo trucco, e bere è più facile e igienico. 

Oggi, i “nasoni” romani sono quasi 2500 e l’acqua che erogano è freschissima per il continuo scorrere, ed è la stessa distribuita da Acea nelle case dei romani da oltre 100 anni. 

Nel centro storico della Capitale sono installati oltre 200 nasoni e circa una novantina tra fontane e fontanelle artistiche dalle quali sgorga sempre acqua potabile. Tra quelle più conosciute, segnaliamo la Barcaccia, opera di Pietro e Gian Lorenzo Bernini, a piazza di Spagna e la fontanina incassata nel muro in via della Fontanella di Borghese. 

Chiesa di Santa Maria del Priorato

La chiesa, appartenente all’Ordine Sovrano di Malta, fu completamente rinnovata e decorata da Gian Battista Piranesi.

Nel 1761, Piranesi dedicò il trattato “Della Magnificenza ed Architettura dei Romani” alla nobile famiglia Rezzonico che, nella persona del cardinale Giovanni Battista Rezzonico, già Gran Priore dell’Ordine, nel 1764 gli commissionò il rinnovamento, oltre che della chiesa, anche dei giardini della villa e della piazza antistante. Nel 1765, Piranesi fece di Santa Maria del Priorato una delle prime e più belle creazioni nello stile neoclassico, originalissima nel complesso e nei particolari decorativi.

L’artista veneziano ripensò completamente la chiesa, realizzando una vera e propria camera funeraria in onore dei Gran Priori e Gran Maestri dell’Ordine di Malta, mescolando abilmente l’iconografia del mondo egizio, etrusco e romano.

Simboli quali il sarcofago mortuario, il serpente, il cranio, le torce a testa in giù, accompagnati dall’aquila bicipite incoronata, stemma gentilizio dei Rezzonico, testimoniano la volontà del Piranesi di trasformare questo luogo di culto nel suo testamento architettonico e spirituale.

La facciata è ad un solo ordine di quattro lesene scanalate, con ricchi capitelli e con un portale sormontato da un oculo e da un timpano triangolare. L’interno, assai suggestivo, a croce latina con nicchie laterali e abside, è coperto da una ricca volta ornata da stucchi.

Nel 2017, sono stati eseguiti pregevoli interventi di restauro che hanno portato alla luce la cromìa originale: il bianco candido degli stucchi, il delicato ocra  e l’effetto di profondità dato dagli stessi colori, il tutto esaltato grazie all’eliminazione delle polveri, dei depositi e del nerofumo delle candele accumulatisi nel tempo.

Curiosità: il buco della serratura del cancello del Priorato dei Cavalieri di Malta offre la più famosa e suggestiva vista di San Pietro. Guardando infatti attraverso questa rinomata fessura si può godere di un fantastico panorama sulla Cupola di San Pietro incorniciata dalle siepi dei giardini del Priorato.